Letto: 9027 volte | Inserita: martedì 30 maggio 2017 | Visitatore: Riccardo

Lavoro da circa dieci anni nel reparto pescheria di un ipermercato, dove è obbligatorio indossare la divisa fornita dall’azienda. Nel mio caso parliamo di cuffietta, pantalone termico, camicia grembiule, stivaloni, guanti. Il regolamento interno prevede che devo prima cambiarmi negli spogliatoi e poi andare a timbrare il cartellino. Anche alla fine della giornata devo prima timbrare e poi andarmi a cambiare. Di fatto sono costretto ad arrivare prima sul posto di lavoro e ad andarmene dopo. Non sarebbe giusto essere pagato per tutto questo tempo perso che l’azienda non mi conteggia?

La sua domanda è perfettamente legittima: quel tempo che lei impiega vestirsi e svestirsi le deve essere certamente retribuito. Tecnicamente si definisce “tempo tuta” e per costante ordinamento giurisprudenziale deve essere pagato anche quando non esplicitamente dichiarato dall’azienda.

Recenti sentenze hanno infatti condannato i datori di lavoro al pagamento delle differenze retributive spettanti per il lasso temporale utile per indossare e dismettere la divisa. Tenuto conto anche della “qualità degli indumenti” che per loro natura o a causa della specifica funzione a cui devono assolvere, si collocano al di fuori di un “criterio di normalità sociale dell’abbigliamento”, ragion per cui non possono che essere utilizzati esclusivamente sul posto di lavoro.

Alla luce di questo lei dovrebbe adire il Giudice del lavoro, il quale previo esame delle risultanze istruttorie condannerà sicuramente l'azienda a risarcirla di tutto il tempo perso, calcolando il compenso sulla base  della sua normale paga oraria.

Risponde

LAURA LIEGGI - Avvocato cassazionista esperta in Diritto del lavoro e della Previdenza sociale. Consulente presso i maggiori sindacati rappresentativi.

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