di Katia Moro

Salento, i misteriosi dolmen e menhir: un fotografo (ligure) li racconta
LECCE – Menhir, dolmen e specchie. Sono i monumenti megalitici, costruzioni nate in epoca neolitica (4500 – 1500 a.C.) ed eretti con blocchi di pietra di grandi dimensioni. Un esempio? Il sito di Stonehenge in Inghilterra, conosciuto in tutto il mondo. Anche se è proprio l’Italia il Paese dove è possibile rintracciare più megaliti ed in particolar modo in Salento, che rappresenta una vera e propria “terra di menhir”. A Lecce e provincia si documentano l’esistenza di 122 menhir (non contando i 30 scomparsi a causa di mancata tutela), 25 dolmen (e 6 scomparsi) e numerosissime specchie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma per raccontare questo tesoro è dovuto arrivare in Puglia un fotoreporter ligure. Si tratta di Leonello Bertolucci, che ha raccolto nel volume “Respiri di pietra” una cinquantina di scatti in bianco e nero che immortalano questi monumenti preistorici tra i più antichi del mondo. (Vedi galleria). Ne abbiamo parlato con l’autore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Cosa l’ha spinta in Salento?

Sei anni fa mi proposero di fotografare il decennale della “Notte della taranta”: è in quell’occasione che è avvenuto l’incontro che mi ha stregato per sempre. Da allora ho acquistato casa in Salento e ci torno ogni qualvolta mi è possibile. In questa terra magica mi sono anche imbattuto in queste presenze misteriose che sembravano essere, per la maggior parte del tutto ignorate e dimenticate: dolmen, menhir e specchie. Ne ho scelti alcuni e li ho raccontati con il mezzo che ho a mia disposizione: la macchina fotografica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qual è lo scopo del tuo lavoro?

Sicuramente non documentaristico. Venendone a contatto ho iniziato a fare ricerche ed ho scoperto che sul megalitismo esistevano solo trattati di tipo scientifico e tecnico ma nessun progetto fotografico d’autore sull’argomento. Io sono un reportagista e come tale amo raccontare storie di uomini e di vite. E queste pietre sono in realtà esseri viventi che hanno storie millenarie alle loro spalle da raccontare: hanno visto i messapi lottare contro i tarantini, sono state conquistate dai romani e possono testimoniare il passaggio di bizantini, saraceni, normanni. Hanno anche subito l’ingerenza della Chiesa cristiana che ha voluto lasciare i suoi segni marchiandole con croci che non ci aspetteremmo di vedere. Bisogna solo saperle interrogare e stare ad ascoltare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qual è la differenza tra menhir, dolmen e specchie?

Si tratta sempre di monumenti megalitici, nate in epoca neolitica ed erette con blocchi di pietra di grandi dimensioni, grossolanamente tagliati e non legati con calce o cemento. Possono però assumere forme diverse. Quella del dolmen (due lastre di pietra conficcate verticalmente nel terreno e sormontate da un’altra posta orizzontalmente), del menhir (monolite che si erge verticalmente isolato nel terreno) e delle specchie, alte anche quattro metri di altezza e realizzate con la sovrapposizione a secco di lastre calcaree provenienti dallo spietramento e con funzione, probabilmente, di torri di avvistamento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Ha fotografato i megaliti in bianco e nero. Perché?

Non volevo realizzare delle fotografie di tipo paesaggistico-documentaristico. Il mio è in realtà un lavoro intimistico, un percorso di interiorizzazione che non ha nulla di didascalico. E poi il bianco e nero congela lo scorrere del tempo per sempre. In fondo la funzione della fotografia è questa, rendere eterno. I monumenti megalitici hanno esattamente la stessa funzione: sono testimoni del tempo. 

E la scelta di utilizzare l’effetto mosso per alcuni scatti?

Anche quella non è un caso e ha una funzione specifica. Ad esempio ho fotografato il menhir di Santu Lasi a Cannole utilizzando la tecnica del micromosso, imprimendo una lieve scossa alla macchina fotografica, a testimonianza di una caduta, di un crollo avvenuto a causa dell’assoluta incuria locale che versa su questi monumenti. Ho voluto rappresentare una caduta continua che si perpetra nel tempo, che deve continuare a fare rumore per risvegliare l’indifferenza generale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dunque non si tratta di un’opera enciclopedico-didascalica ma ha una funzione di testimonianza.

Mi piacerebbe sapere di aver contribuito a una maggiore divulgazione dell’esistenza di questi monumenti tramite il mio volume. Le fotografie sono presentate prive di didascalie per non distrarre dal flusso emotivo che possono produrre, ma in appendice al testo vi sono le indicazioni dei siti con le coordinate e una cartina geografica che rappresenta l’esatta collocazione di ognuno (vedi galleria). L’obiettivo è anche quello di fornire uno strumento di orientamento utile, dal momento che non esistono indicazioni stradali né alcun tipo di segnalazione sul posto. Ad esempio a soli due chilometri dal centro cittadino di Corigliano si erge un doppio dolmen, caso raro e prezioso. Ebbene: solo pochissimi abitanti del luogo ne sono a conoscenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche se questi monumenti continuano a rimanere avvolti nel mistero...

Sì. Qual era la funzione di queste costruzioni? Non vi è ancora alcuna risposta certa. Si dice che fungessero da monumenti sepolcrali o che avessero una valenza religiosa pagana e che quindi rappresentassero totem innalzati agli dei del sole, della fertilità. E’ stato ipotizzato che avessero la funzione di misura o indicazione di importanti eventi astronomici come il solstizio o l’equinozio. La cultura popolare li attribuisce a fate, giganti, nani e esseri mitologici. Per qualcuno invece, molto più semplicemente, fungevano da indicatori stradali o segnalazioni della presenza dell’acqua. Certo il fatto che costruzioni identiche siano sorte contemporaneamente in luoghi distinti, molto distanti tra loro e privi di forme di comunicazione all’epoca, orientate esattamente nello stesso modo, ad indicare l’equinozio o il solstizio, rimane un vero mistero.


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  • Vito Palmisani - La versione più probabile per l'utilizzo dei menhir, è la loro collocazione a segnalare un luogo sacro, disposti secondo il solstizio e l'equinozio, perché i due momenti erano caratterizzati dal cambio delle stagioni. I menhir erano a volte anche venerati perché nella pietra che svettava verso il cielo si raffigurava la divinità che sovrastava l'uomo. I dolmen è presumibile fossero le pietre dove si lasciavano i defunti a consumarsi alle intemperie e alla voracità dei volatili, così come nella tradizione degli indigeni d'America, tribù indiane al nord, aztechi al centro e al sud. I dolmen più bassi a misura d'uomo, con tutta probabilità erano invece altari sui quali si compivano i sacrifici per ingraziarsi le divinità.


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