di Salvatore Schirone

Ortocircuito ha una nuova casa: «Ma dalle Istituzioni nessun aiuto»
BARI - Per sei mesi hanno vagato nel deserto di Bari prima di raggiungere l'agognata terra promessa. L'esodo in questione non ha riguardato ipotetici ebrei erranti ma i ragazzi di Ortocircuito. E la “terra promessa” altro non è che un piccolo pezzo di terreno strappato all'incuria, perfetto per coltivarvi ortaggi e sane abitudini che la società dei consumi da tempo ha dimenticato. 
 
Sfrattati lo scorso giugno dal terreno antistante la parrocchia di San Marco nel quartiere Japigia, il gruppo di volontari nato nel 2010 dopo aver atteso invano le promesse dell'assessore all'Ambiente Maria Maugeri che lo scorso primo agosto li aveva convocati in Comune, finalmente ha messo piede nel suo nuovo domicilio. E’ qui che proporrà di nuovo la coltivazione di sani frutti della terra, l’autoproduzione biologica e programmi di ortoterapia ed educazione ambientale dedicati a bambini e disabili.  

Il miracolo è avvenuto grazie al generoso intervento di un privato cittadino. E lo scorso 8 febbraio è arrivata la firma sul contratto di comodato d'uso gratuito per un pezzo di terreno sito in corso Alcide De Gasperi al numero 477, alle porte di Carbonara, in un vecchio podere abbandonato da anni. Invitati dal neopresidente Manlio Epifania, siamo andati a visitare in anteprima la nuova sede dell’associazione autonoma di Ortocircuito (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
«Le Istituzioni non ci hanno aiutato, abbiamo fatto tutto da soli - ci dice Epifania in un mix di soddisfazione e amarezza, mentre ci apre il cancello -. Il merito è stato di un privato cittadino, il cui nome preferisco non rivelare». Si tratta di un'importante e agiata famiglia barese, proprietaria tra l’altro di questa casa edificata su corso Alcide de Gasperi, grande arteria cittadina ricca di ville monumentali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Varcato il cancello si apre davanti a noi un grande viale che attraversa un vasto giardino invaso da una bassa e fitta vegetazione incolta. Sul fondo, i resti di una fatiscente struttura, che doveva essere un piccolo casale. All'interno ancora i segni di una casa vissuta: piccoli giocattoli di latta corrosi dalla ruggine, libri antichi, oggetti personali. E poi alberi da frutto, un deposito per le dispense, i resti di un pollaio e addirittura un bellissimo campo da bocce con tanto di panchine per gli spettatori raccontano di un tempo che fu, di spensierate giornate di villeggiatura lontane dal caos della città. 
 
Al centro del primo quarto di giardino, lì dove sorgerà il primo orto, notiamo l'apertura di un piccolo pozzo. Si tratta della bocca una grande cisterna per la riserva di acqua. E qui Manlio ci racconta una storia appresa dal proprietario, dai tratti certamente meno bucolici. Durante gli anni di guerra intere famiglie abbandonavano la città per paura dei bombardamenti. Questa casa accolse molti sfollati. Tra essi anche una famiglia ebraica. Erano in cinque e si nascosero proprio in questa cisterna. Una bella storia di solidarietà che a quanto pare continua a produrre ancora nuovi frutti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Con il cuore pieno di gratitudine i volontari si mettono subito all'opera. È ora il tempo delle pulizie. Rimossa la terra davanti al caseggiato emergono le bianche "chianghe", le grandi lastre di pietra della originaria pavimentazione. La parte della recinzione divelta viene puntellata con gli assi di un vecchio gazebo distrutto. L'inconfondibile tipica girandola spaventapassseri fatta di bottiglie riciclate gira già al venticello di questo anticipo di primavera. L'antico podere abbandonato ritorna a vivere e l'orto è ris-orto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


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