di Antonio Bizzarro - foto Antonio Caradonna

La Bari del Dopoguerra: nella mediocrità estetica spunta l'arte di Chiaia e Napolitano
BARI – Lo abbiamo scritto più volte: dal Secondo Dopoguerra in poi Bari si trasformò completamente dal punto di vista architettonico. “Abbattimento” divenne la parola d’ordine in quartieri quali Murat o Carrassi, zone della città che assistettero (e continuano ad assistere) alla distruzione di edifici ottocenteschi e di gioielli quali il Palazzo della Gazzetta e i Villini Postelegrafonici. Al loro posto vennero innalzati moderni e alti fabbricati spesso di dubbio gusto, creati con il solo fine di ospitare il maggior numero di negozi e appartamenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma fra tanta mediocrità estetica, ci furono due talentuosi progettisti baresi che riuscirono a importare nel capoluogo pugliese un concetto nuovo di architettura, che metteva, nonostante tutto, “l'arte sopra ogni cosa”. Parliamo di Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È il 1954 quando il duo di esperti, dopo un periodo di ricerche negli Stati Uniti, torna in Italia e apre uno studio in via Melo 71. La loro idea è di dar forma alle nozioni apprese da due mostri sacri della materia come Richard Buckminster Fuller e Frank Lloyd Wright.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nei decenni successivi gli "americani di Bari", così come vengono definiti dall'intellettuale romano Bruno Zevi, lasciano così la loro impronta su 35 costruzioni. Utilizzano artifici innovativi come il “curtain wall”, una struttura di alluminio che sorregge grandi vetrate, lasciando intravedere gli interni. Ma non trascurano la tradizione, impiegando grossi blocchi di pietra pugliese e ricorrendo a mosaici e pitture per decorare le balconate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Oggi, con l’aiuto di alcune pubblicazioni quali “Costruire il moderno - l'architettura di Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano” a cura di Antonella Calderazzi e "Lo studio di Chiaia e Napolitano a Bari" di Mauro Scionti, siamo andati a riscoprire i loro capolavori. (Vedi foto galleria)

La nostra passeggiata parte al confine tra i quartieri Murat e Libertà e precisamente all'incrocio tra via Calefati e via Quintino Sella. Qui sorge Palazzo Dioguardi, inconfondibile grazie ai vistosi pannelli di cemento che ne rivestono le facciate. Dall'aspetto sobrio, quasi austero, è caratterizzato da scalanature che ne solcano anche i balconi, creando un elegante gioco di chiaroscuro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci spostiamo quindi su corso Vittorio Emanuele per ammirare all’incrocio con via Sparano Palazzo Borea, eretto nel 1961. Presente livelli con diversa destinazione d'uso, ciascuno dei quali segnalati da precisi dettagli: al piano terra ci sono vetrine a tutta altezza, negli altri due spicca l'assenza di loggiati per gli uffici e nei restanti sei, quelli residenziali, i loggiati si alternano con finestrature a filo. Il tutto comunque regala una generale sensazione di compattezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel rione Murat non passa inosservato neanche Palazzo Vitti, situato in via Melo ad angolo con via Calefati: del resto è questo l'immobile che accoglieva lo studio dei due architetti. Costruito nel 1967, è il risultato di una sostituzione edilizia accompagnata da un aumento delle volumetrie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Il basamento, di ordine gigante, è contraddistinto da ampie vetrate che circondano sia il piano terra, a uso commerciale, sia il primo livello senza balconi, dedicato agli uffici. Sulla sommità spuntano poi due attici, entrambi definiti da un parapetto cieco e continuo, sostenuto da travi strutturali ed estradossate. Quello inferiore è aggettante rispetto alla sagoma sottostante, mentre quello superiore è più arretrato ed invisibile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Migriamo quindi in corso Cavour, dove ad angolo con via Principe Amedeo si staglia Palazzo Brunetti. Anche in questo caso i vari utilizzi dei piani sono segnalati da appositi dettagli. Al livello stradale figurano vetrine a tutta luce, mentre i due immediatamente superiori si presentano come un blocco unico, discretamente aggettante, la cui superficie è trattata per intero a curtain wall. Balzano all'occhio in particolare le lastre rossicce porcellanate poste appena sotto le finestre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci avviciniamo alla Stazione centrale. Stavolta siamo in via Nicolò Dell'Arca, lì dove al civico 21 insiste l'appariscente stabile del Monte dei Paschi di Siena: un trionfo del curtain wall, con un efficace gioco di riflessi creato dal reticolo di montanti in alluminio e cristalli viscromo di colore blu.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non lontano si trova il singolare fabbricato della Società generale pugliese dell'elettricità, poi passato all'Enel e attuale sede del Dipartimento di formazione, psicologia e comunicazione: sorge in via Crisanzio, ad angolo con via Suppa, di fronte alla facoltà di Giurisprudenza. Progettato nel 1957, è stato il primo esempio nell'Italia meridionale di edificio con facciate a courtain walls, anticorodal e lamierino porcellanato rosso. Pare quasi sospeso, grazie al pronunciato aggetto del piano terra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lasciamo il quartiere Murat e approdiamo a Carrassi. Alla fine di via Falcone e Borsellino, lo stradone che collega Parco 2 Giugno con la zona delle casermette, sono visibili le casette a schiera Vilella.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui i due progettisti hanno dimostrato di saperci fare anche con le costruzioni meno imponenti. Munite di due giardini, uno antistante e uno retrostante il portone, le abitazioni sono ingentilite da parapetti in vetro camera, rivestimenti dei marcapiani in alluminio e plafonature delle doghe color rame. La recinzione è composta da pannelli prefabbricati di cemento, bucati allo scopo di far penetrare il verde delle piante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Concludiamo il nostro viaggio con il primo degli edifici ecclesiastici ideato dal duo: la parrocchia di San Ciro, in piazzale Pugliese, nel periferico rione Mungivacca. Il luogo di culto, creato nel 1954, è formato da due blocchi bianchi adiacenti, uno destinato a torre campanaria e l'altro a ufficio parrocchiale. Una sporgente tettoia rossiccia, sostenuta da due esili pilatri, sovrasta l'ingresso del sito, mentre uno dei lati risulta appositamente segmentato per permettere l'illuminazione naturale dell'aula ecclesiale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un'ultima isola felice nel mare di scempi urbanistici baresi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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  • nico - MOLTO INTERESSANTE !
  • Mariano Argentieri - Lo studio Chiaia e Napolitano che progettò il curtain wall per il palazzo della Banca Monte dei Paschi di Siena, adottò anche un abbinamento cromatico alternato dei vetri per ogni singolo piano( grigio/marrone la parte d'infisso inferiore e verde quello superiore) che con il restauro del 2008 si è andato perduto. con questi uniformi vetri specchianti.


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