di Rachele Vaccaro

''Vitruvians'', venti giovani attori e una parola d'ordine: sperimentazione
BARI – Fare teatro per sperimentare: è la missione della compagnia teatrale “Vitruvians”, un gruppo di giovani attori (l'età media è 25 anni) attivi a Bari dal 2010, in questo periodo alle prese con il musical inedito “Midnight in Chicago” (vedi foto galleria), in scena presso il Nuovo Teatro Abeliano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Ragazzi, quando e come è nata la vostra compagnia?
 
Ci siamo formati tre anni fa. Inizialmente eravamo un gruppetto di cinque amici, legati dalla passione per la recitazione. Man mano ci siamo allargati tramite le audizioni, portando in scena “Il piccolo principe” nel 2011 e “Cats remix” (la nostra rivisitazione del celebre musical del 1981) nel 2012. Ad oggi, siamo venti artisti, più dieci collaboratori tecnici che ci aiutano per le luci, l’audio, la scenografia e i costumi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Perchè “Vitruvians”?
 
(Risponde Francesco Zeffiri, uno dei veterani). Ognuno di noi proviene da un differente tipo di formazione. Ci siamo ispirati agli uomini dell’Umanesimo che consideravano proprie tutte le arti senza escluderne alcuna: l’uomo vitruviano è il nostro simbolo, pensiamo che gli esseri umani non siano etichettabili. Io, ad esempio, ho studiato ingegneria e amo questa branca della scienza tecnica. Ma non posso pensare che questo mi precluda e non mi faccia sviluppare le altre mie passioni, come la recitazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il vostro è un teatro “sperimentale”…

Sì, tentiamo  di fare scelte sperimentali nei vari aspetti che caratterizzano uno spettacolo. Abbiamo cercato rendere i nostri musical non dei semplici rifacimenti, ma di seguire le tecniche interpretative delle avanguardie europee. Ad esempio, per quanto riguarda “Cats”, abbiamo scomposto la storia, diviso le scene e i personaggi, poi li abbiamo rimescolati e ristrutturati a modo nostro, facendo nascere “Cats remix”. Del resto, lo stesso pallino per la sperimentazione ci ha portato a “Midnight in Chicago”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Parlateci di questo musical.

Avevamo una serie di immagini e suggestioni pirandelliane da usare: era un po’ come se i personaggi volessero essere raccontati a tutti i costi. Francesco ha creato una struttura di partenza unica e tutti noi abbiamo collaborato alla stesura del copione, sino all’ultima rappresentazione. Ognuno di noi ha avuto la massima libertà nell’interpretazione e nella recitazione della storia, tanto che ci sono scene per cui è difficile definire chi è stato l’autore principale. Ci siamo ispirati allo stile anglosassone e non a quello classico francese: in quest’ultimo, il corpo di ballo è staccato dai cantanti e la trama è portata avanti dal canto. Noi invece facciamo “tutto, tutti”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

 
In che senso?
 
(Risponde Luca, che è in compagnia da tre anni). Abbiamo tutti affrontato una preparazione fisica adeguata, dopo aver finito il montaggio verso ottobre/novembre. Questo ci ha permesso di spaziare e non rinchiuderci in un settore preciso: io inizialmente mi sentivo più cantante che ballerino, ma ho imparato a muovermi sulla scena per trasmettere le mie emozioni al pubblico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
E’ stato difficile interpretare “Midnight in Chicago”?
 
Risponde Simone, che interpreta il protagonista Eddy: «Il fatto che questo sia un inedito incrementa la difficoltà e la preparazione necessaria. Bisogna padroneggiare recitazione, danza, canto, nozioni tecniche, struttura della storia. E tutto senza una base preesistente, perchè i personaggi sono plasmati su di noi». Aggiunge Antonella: «Si pensa al musical come a qualcosa di brillante ed esplosivo, ma dietro c’è un lavoro di caratterizzazione del proprio ruolo non indifferente. L’impatto emotivo e psicologico con l’alter ego in scena non è da sottovalutare». Katia conclude: «Io provengo da una scuola di teatro che prevede uno stile di recitazione molto più asciutto rispetto a questo musical. Con i Vitruvians ho imparato a conoscere e amare i preziosismi e, come dice Francesco, a far respirare il corpo anche semplicemente camminando». 

Cosa volete comunicare con il vostro teatro?
In “Midnight” vogliamo far riflettere il pubblico sulla velleità dei rapporti umani: quelli genitoriali, quelli d’amore, quelli di amicizia. C’è il tema della possessione contrapposto alla libertà, ma non solo: il musical ha un insieme di storie di sottofondo e di temi nascosti che si incastrano, quindi sta allo spettatore scegliere la chiave di lettura che sente più vicina. La missione dei Vitruvians si compie quando riusciamo ad arricchire, anche di poco, il bagaglio artistico e l’umanità del pubblico: cerchiamo di portare in scena il rapporto con noi stessi per migliorarci e far mettere in discussione chi ci osserva. 

Il profilo Facebook della Compagnia Vitruvians: https://www.facebook.com/compagnia.vitruvians?fref=ts.


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