di Francesca Canonico

Stefania Meneghella: «Nel mio romanzo metto in scena la lotta tra caos e silenzio»
NOICATTARO – «Nel mio libro metto in scena l'eterna lotta tra caos e silenzio». Parole della 22enne Stefania Meneghella (nella foto), di Noicattaro, in provincia di Bari, che ha debuttato quest’anno nel mondo della letteratura con il romanzo “Silenzi messaggeri”, che parla del delicato tema della violenza sui minori.  L'abbiamo incontrata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Hai scelto un tema molto forte per il tuo primo romanzo...

Sì. Tutto nasce dalla visione di un film: “Vai e vivrai” di Radu Mihăilenau, in cui un ragazzo subisce ogni tipo di violenza. Dopo averlo visto ho deciso di voler diventare assistente sociale e mi sono iscritta alla facoltà di Scienze del Servizio Sociale. Il mio libro è la diretta conseguenza dei miei “difficili” studi: a un certo punto ho sentito il desiderio di scrivere, di mettere su carta cose che altrimenti non sarei riuscita a condividere. Le descrizioni degli abusi e del dolore subito dai protagonisti non si discostano molto da storie tristi e vere raccontate da ragazzi agli assistenti sociali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I due protagonisti sono due giovani di nome Jamie e Schlomo: parlaci di loro.

Jamie e Schlomo vivono nel caos, in uno scorrere di pensieri che non si fermano mai, in un dolore che va e ritorna. Tutto ciò naturalmente a causa delle violenze che hanno dovuto subire da piccoli. Ma entrambi i ragazzi trovano serenità grazie al silenzio e attraverso il rapporto con la natura e l’arte, visto che Jamie scrive e Schlomo suona. Creandosi una dimensione separata i due riescono così ad allontanarsi dal dolore, ma sono anche coscienti di vivere in un “bolla di vetro”, in un “non-luogo” isolato dal mondo esterno. Per questo la loro diventa una lotta tra caos e silenzio. 


Nel romanzo la violenza è affrontata con una scrittura discreta e pacata…

Mi sono ispirata agli scrittori inglesi della prima metà del 900, tra cui Virginia Woolf. Lei ha sempre raccontato il dolore e le paure dei suoi personaggi non in modo diretto, ma attraverso dei “particolari”, magari con la descrizione dell’ambiente che li circondava. Ed è un po’ quello che ho cercato di fare io,  visto che non mi è mai piaciuta la rappresentazione morbosa e minuziosa del male.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una particolarità di “Silenzi messaggeri” è la ripetizione di interi capoversi in capitoli differenti. Da dove nasce questa strana scelta?

Si è trattato di un azzardo che però sembra sia piaciuto. Il senso era quello di trasmettere quella sensazione che si prova quando c’è un continuo e circolare dei propri pensieri, che si allontanano per poi tornare di continuo, così come avviene  soprattutto quando si è depressi. Ci sono lettori che mi hanno detto di essersi svegliati la mattina ripetendo le parole lette la sera prima, come fossero una filastrocca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In conclusione: qual è il messaggio che vuoi trasmettere con la tua storia?

Il senso è che nella vita per poter poi star bene con gli altri bisogna star bene prima di tutto con se stessi. Il silenzio può essere solo una tappa, ma poi diventa necessario affrontare il mondo esterno, la vita e il caos che ne deriva.


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