di Carlo Maurantonio

Bari, la coppia torna a vivere nel camper: «Il Comune ci aveva spedito tra i drogati»
BARI – Nel gennaio scorso vi raccontammo la storia di Giuseppe e Benedetta, una coppia di baresi costretta a vivere in un camper parcheggiato in uno spiazzo tra la chiesa di San Sabino e Parco Perotti. Subito dopo la pubblicazione del nostro articolo, l’assessore al Welfare del Comune di Bari, Francesca Bottalico, ci mise però a conoscenza del fatto che i due avevano «accettato sostegno» ed erano stati accolti «in una struttura individuata in rete tra assessorato e servizi socio educativi territoriali del Municipio di residenza».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sembrava quindi che fosse stata messa fine a questa triste vicenda, ma a distanza di pochi mesi i coniugi hanno preferito tornare a vivere nella loro vecchia “abitazione”. Siamo così andati a trovarli per comprendere il perché della loro scelta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo al gennaio di quest’anno, mese in cui il Comune di Bari vi ha trovato un alloggio. Dove siete stati sistemati?

A 60 chilometri da Bari: in un edificio situato a Gravina in Puglia. Si trattava di un vecchio palazzo dove erano state ricavate alcune stanze attraverso delle pareti divisorie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Come si viveva lì?

Male. L’appartamento era freddo e umido: dalle finestre entrava vento e pioggia e soprattutto il riscaldamento non veniva mai acceso, se non una o due ore durante il giorno. La notte dovevamo infilarci sotto mille coperte per stare al caldo: di fatto era come vivere nel camper.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Se era equivalente perché non siete rimasti?

Perché perlomeno nel caravan eravamo soli, mentre a Gravina dovevamo dividere l’abitazione con altre persone. E purtroppo non si trattava di “bella gente”. La struttura era piena di drogati: degli “scheletri umani” che urlavano, si picchiavano, si minacciavano di morte a vicenda. La notte non riuscivamo a chiudere occhio: grida, schiamazzi, oggetti che venivano sbattuti per terra o contro i muri, continui litigi, risse. Quanto potevamo resistere in un ambiente del genere?

C’era una cucina però: perlomeno potevate prepararvi qualcosa.

Macchè. La cucina e la dispensa erano in comune e quindi ognuno degli inquilini prendeva ciò che voleva: era un furto continuo. E comunque non lavorando non avevamo nemmeno i soldi per comprarci del cibo. Perlomeno a Bari conoscevamo un po’ di gente che ogni tanto ci dava un’occupazione temporanea, ma a Gravina non sapevamo proprio come muoverci.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma non mangiavate?

Una volta al giorno, grazie a una mensa sociale che si trovava vicino all’edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma alla fine avete deciso di tornare…

Sì, siamo riusciti a racimolare un po’ di denaro per comprare due biglietti del treno e dopo aver raccolto in fretta e furia tutta la nostra roba siamo tornati a Bari, a marzo. Il proprietario l’abbiamo avvisato solo una volta arrivati, per evitare che ci costringesse a restare ancora lì. Ricordo che quando ci proposero la sistemazione a Gravina pensammo di rottamare il camper: per fortuna non l’abbiamo fatto, perché questo automezzo continuerà ad essere ancora la nostra “casa”. Chissà per quanto tempo ancora. 


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