di Federica Calabrese

A Bari ''Una vita da social'': il truck della Polizia contro cyberbullismo e sextortion
BARI – Un colorato truck lungo 17 metri (nella foto) posizionato davanti al palazzo della Prefettura di Bari: è ciò che è possibile notare oggi se si passeggia su corso Vittorio Emanuele. Il tir si trova lì per l’iniziativa "Una Vita da Social", progetto messo in atto dalla Polizia Postale in 49 città italiane e rivolto soprattutto ai minorenni, coloro che sono maggiormente vittime di fenomeni come il cyberbullismo (le molestie perpetrate attraverso internet), il furto di identità digitale e l’adescamento sessuale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Diciassette agenti saranno all’interno del truck per illustrare nozioni e metodiche di intervento in casi di reati commessi tramite gli strumenti informatici. I poliziotti terranno vere e proprie lezioni a ragazzi, insegnanti e genitori anche attraverso la visione di filmati istituzionali e dibattiti. Uno spazio sarà anche dedicato alla condivisione di esperienze di giovani vittime della violenza “virtuale”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per chiarire meglio lo scopo del progetto abbiamo parlato con il primo dirigente del compartimento di Polizia Postale di Bari, Ida Tammaccaro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché la Polizia Postale ha ritenuto necessario avviare questo tipo di iniziativa?

Per avvicinarci alle persone, a coloro che sono potenziali obiettivi di fenomeni come stalking, minacce e molestie online, furto di identità digitale o sextortion (la richiesta di denaro in cambio della mancata pubblicazione online di foto osè della vittima). Spesso chi subisce questi atti non è consapevole di avere i mezzi per contrastarli: c’è un’ignoranza diffusa circa le norme web, soprattutto tra i più giovani. Da qui l’idea di informare e soprattuto far sentire la nostra presenza: perché noi possiamo soccorrere chiunque.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


In che modo una vittima può farsi aiutare dalla Polizia?

Semplicemente denunciando. Può sembrare una cosa ovvia, ma purtroppo abbiamo riscontrato che soprattutto tra i ragazzi c’è timore nel parlare di questo tipo di problemi. Soprattutto in casi di bullismo c’è la paura di subire delle ripercussioni dopo la richiesta di aiuto. Invece ciò che un giovane dovrebbe fare subito è proprio riferire a un adulto ciò che sta avvenendo, il quale dovrà poi procedere con la denuncia. “Una vita da social” ha proprio lo scopo di far capire che le forze dell’ordine sono vicine ai cittadini e possono realmente rimuovere il problema ed interrompere il circolo vizioso. Negli ultimi mesi la Polizia di Stato ha anche lanciato un’app: YouPol. Permette di inviare segnalazioni, anche anonime, di episodi di violenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra i tanti qual è il fenomeno che ritenete si stia diffondendo maggiormente?

I casi di fotografie pubblicate sui social, modificate da terzi e ripubblicate su siti pornografici. Nell'ultimo periodo con il successo di Instagram, che permette di postare istantanee che ritraggono momenti della vita personale, diventa ancora più facile entrare in possesso di immagini. Sono frequentissimi i casi di individui contattate ripetutamente per chat o mail con richieste di prestazioni sessuali, perché le loro foto sono state immesse a loro insaputa su portali hard.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

“Una vita da social” è giunta alla quinta edizione: in questi anni avete avuto un riscontro positivo da parte dei cittadini?

Decisamente: le scuole ci chiedono non solo di aderire a questa giornata, ma anche di portare direttamente nelle aule delle lezioni formative. Noi con questi incontri cerchiamo di stimolare l'autostima dei ragazzi coinvolti, cercando di diminuire soprattutto la distanza che si viene a creare con le istituzioni. Dobbiamo far capire che raccontare il problema è un passo in più per risolverlo. E i numeri sembrano darci ragione: dai 235 casi denunciati nel 2016, siamo passati ai 355 casi nel 2017. Qualcosa si sta muovendo.


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Federica Calabrese
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  • Giuseppe Di Vagno - Ottimo articolo....davvero interessante. Complimenti
  • donato - Ottimo articolo complimenti


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