di Federica Calabrese

Deportati e dimenticati: il racconto della comunità pugliese di Crimea
BARI – Mangiano orecchiette, studiano l'italiano e addobbano le loro case con la bandiera tricolore, pur abitando a più di 1500 chilometri dal Belpaese. Parliamo dei discendenti di quei pugliesi che nell'800 si stabilirono in Crimea: 500 persone che da decenni lottano per far conoscere al mondo la storia dei loro parenti perseguitati dall'Urss con il complice silenzio del governo fascista. (Vedi foto galleria)

Per comprenderne le ragioni è necessario partire dal 1820, quando nella maggiore penisola del Mar Nero, allora in mano agli zar, cominciano ad arrivare dal nostro Paese le prime famiglie di emigrati. Provengono soprattutto da Bari, Molfetta, Bisceglie e Trani, attratte dalla possibilità di coltivare terre vergini e realizzare buoni guadagni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E in effetti la migrazione va a buon fine: la comunità cresce per tutto il XIX secolo e arriva a contare circa cinquemila membri, entrando a far parte del ceto benestante locale grazie alla maestria mostrata in campo agricolo. Addirittura a Kerch, il paese dove la minoranza riesce meglio a radicarsi, viene introdotta una qualità di pomodoro dalla buccia spessa molto richiesta a Mosca e San Pietroburgo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo sviluppo però si interrompe bruscamente con l'avvento del regime sovietico. La collettivizzazione forzata delle campagne provoca la confisca degli appezzamenti detenuti dagli italiani: perquisizioni e arresti soffocano ogni tipo di resistenza. Alcuni si adattano al nuovo sistema comunista, altri invece scelgono tra il 1919 e il 1922 di rientrare in Patria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra il 1935 e il 1938, gli anni delle "purghe" di Stalin, la situazione precipita. «Il dittatore impose ai nostri connazionali di rinunciare alla doppia cittadinanza - spiega il giornalista Tito Manlio Altomare, che ha ripercorso questi avvenimenti nel documentario "Puglia oltre il Mediterraneo" -, privandoli di quella italiana. Furono anche costretti a cambiare cognome: "Ragno", "Botta", "Mezzina" e "Pergola" si trasformarono rispettivamente in "Ranjo", "Botto", "Mezino" e "Pergol"».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Stalin mise al bando tutte le lingue che non fossero il russo, decisione che fece quasi scomparire quella italiana dai centri della Crimea. Qualsiasi sospetto di contrasto al cambiamento portò a torture, esecuzioni e imprigionamenti nei gulag, i campi di concentramento sovietici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'apice dell'orrore venne poi raggiunto durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1941 l'esercito tedesco occupò temporaneamente Kerch e dintorni: la minoranza fu così accusata di collaborazionismo con i nazisti e il 28 gennaio 1942 venne interamente deportata in Kazakistan, all'interno di treni dai vagoni piombati. La durezza del conflitto e il gelo delle nuove terre che accolsero gli esiliati fecero centinaia di morti. Il tutto nell'indifferenza delle autorità italiane.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'accanimento del regime, pur non sfociando più in mattanze improvvise, proseguì nel Dopoguerra. Ma a quel punto gli impauriti connazionali (i cui superstiti erano nel frattempo ritornati in Crimea) presero la decisione di nascondere in pubblico le proprie origini. E così della comunità non si seppe più nulla.  


Ma con il passare degli anni i figli e nipoti di quegli uomini che tanto avevano sofferto decidono di farsi coraggio. I giovani riprendono i contatti tra di loro, si va alla ricerca di documenti, di vecchie foto e nel 1986 vede la luce "Cerkio", associazione che mira alla difesa dell'identità culturale dell'etnia e a un risarcimento dal governo russo per le persecuzioni subìte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Promotrice del movimento è Giulia Giacchetti Boico, nipote di uno dei deportati, che ha imparato l'italiano da autodidatta e lo insegna in una piccola "scuola" allestita nello scantinato di casa. Nella stanza campeggiano la nostra bandiera e la mappa della Puglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Uno "spirito pugliese" che del resto è rimasto vivo in tutti i 500 discendenti oggi presenti nella penisola, che pur trovandosi in territorio ucraino è passata nuovamente alla Russia nel 2014 dopo un referendum non riconosciuto da Unione Europea e Nato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qualche anziana signora ricorda ancora la ricetta del "ciambotto", zuppa di pesce tipica di Molfetta e dintorni, altre preparano a mano le orecchiette. «Stando in mezzo a loro - evidenzia Paolo Rausa, presidente dell'Associazione regionale pugliese di Milano che si batte per i diritti di questa comunità-,  - sembra veramente di essere in Puglia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma le richieste faticano a essere accolte. «Solo nel 2014 si è riusciti a ottenere il riconoscimento di "comunità deportata" - chiarisce Altomare - dopo un incontro tra Putin e Berlusconi. Un obiettivo che è stato difficile da raggiungere: basti pensare che solo tra il 1992 e il 1997 all'ambasciata italiana in Ucraina furono inviate 50 sollecitazioni per il conseguimento dello status. Il problema è che i diplomatici non dispongono dei documenti dei profughi, andati distrutti durante quel terribile viaggio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Alla minoranza sono state assegnate agevolazioni pensionistiche e sanitarie, mentre rimane più complicata la restituzione dei terreni nazionalizzati in epoca comunista.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Anche se è comunque una grande vittoria l’essere riusciti a svelare a tutti le proprie origini. «E così da qualche anno finalmente, ogni 28 gennaio, a Kerch si celebra una messa in ricordo della deportazione - conclude Rausa -. La celebrazione si tiene all’interno di una chiesetta costruita proprio dagli immigrati. Alla fine i fedeli si spostano sul mare ghiacciato e vi gettano dei fiori rossi, ricordando simbolicamente quegli anni così tragici in cui tanti italiani furono dimenticati dal mondo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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  • Pasquale Trizio - Purtroppo non si tratta di agricoltori ma di...pescatori. Sono i pescatori tranesi e molfettesi che, pescando "a paranza" ardirono di andare a pescare nel mar Nero, dapprima nelle acque della Romania e, successivamente, del mar d'Azov, ove si stabilirono. Pasquale B. Trizio


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