di Eva Signorile

Gasdotto Tap, le ragioni del
LECCE – Si chiama “Tap” ed è il gasdotto che porterà in Europa il gas proveniente dai giacimenti dell’Azerbaijan, attraverso Turchia, Grecia e Albania, per poi approdare in Italia tramite un tunnel sottomarino che sfocerà in Salento, per la precisione a San Foca, nella marina di Melendugno. Un’opera fortemente voluta dall’Unione europea (che cercherebbe in questo modo di ridurre la dipendenza dal gas russo), ma osteggiata da ambientalisti e salentini, che la considerano inutile e non sostenibile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel dicembre del 2013 intervistammo il country manager della società Tap, per dargli la possibilità di rispondere alle critiche mosse all’epoca dal Wwf, oggi invece abbiamo deciso di ascoltare le ragioni del movimento “No Tap”, che negli ultimi giorni è balzato agli onori della cronaca per via della protesta contro l’espianto degli ulivi nella zona dell’approdo del gasdotto (nella foto).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Abbiamo incontrato il portavoce del movimento, il 42enne salentino Gianluca Maggiore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Partiamo dall’ultima protesta, quella causata dall’espianto degli ulivi. La società Tap ha assicurato che gli alberi saranno piantati in un’area provvisoria per poi essere nuovamente riportati alla sede d’origine. Non ci credete?

Siamo certi che gli alberi verranno reimpiantati, ma non sappiamo a quali condizioni. Secondo l’Arpa, l’agenzia regionale che si occupa di prevenzione e protezione ambientale, molti ulivi non ce la faranno a sopravvivere al doppio “trasloco”. In più  c’è il parere interlocutorio da parte della “Commissione ulivi” della Regione, per cui il trasferimento sarebbe possibile ma tutta l’operazione dovrebbe durare 3 mesi, non i 4 anni previsti da Tap.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La battaglia per gli ulivi sembra comunque essere solo un pretesto, ci sono ragioni più profonde per dire “no” al gasdotto?

Sì e sono innumerevoli: a partire da quella economica. Sembra evidente che tutta l’area soggetta ai lavori perderà valore: i terreni si deprezzeranno. E poi c’è la questione turismo. Lo sanno tutti, il Salento è invaso ogni anno da migliaia di visitatori attratti da un ambiente incontaminato: bene, ora chi verrebbe mai in un posto dove si trova un gasdotto sulla costa?

Però la società ha assicurato 500mila euro di risarcimento al  Comune di Melendugno…

Tap dice che pagherà al Comune 500mila euro in tasse varie, tra cui l’Imu, ma omette che nel caso di opere industriali i proventi dell’Imu vanno allo Stato, senza passare per le amministrazioni locali. In più nel decreto “Sblocca Italia” c’è un emendamento secondo cui le strutture senza coperture e imbullonate al terreno non pagano la tassa. E’ questo è il caso del Prt, cioè il terminale di ricezione che serve per misurare, controllare e immettere gas naturale nella rete. Quindi questa storia del risarcimento va ridimensionata, tra l’altro qui non sono previste tasse di pedaggio sui Paesi di transito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si parla però di posti di lavoro in più.


E' un’altra esagerazione. Stando alla “valutazione di impatto ambientale e sociale” che lo stesso consorzio TAP ha presentato nel 2012, sono previsti soli 150 dipendenti nella fase di costruzione del gasdotto. Dopo questa fase, gli addetti scenderanno a un numero compreso fra le 10 e le 32 unità. Ma va aggiunto che si tratterà principalmente di personale altamente specializzato, come Tap stesso ribadisce sul suo sito: gente che difficilmente sarà possibile trovare nei dintorni. Di fatto il Salento non usufruirà di un aumento occupazionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A parte la questione economica, quali altri fattori vi portano a non volere l’opera?

I rischi ambientali. Verrà realizzato un tunnel lungo 1,5 km con un diametro di 3 metri nell’area del deposito alluvionale delle paludi di Cassano e passerà sotto una spiaggia e una pineta. E’ prevista la realizzazione di un un pozzo di spinta, cioè una struttura in cemento dove vengono inserite le prese su cui costruire il tunnel, pesante oltre 100 tonnellate. Bene, questo pozzo non poggerà su niente, perché lì sotto ci sono solo sassi e sabbia e si trova pure una falda acquifera. Il rischio è quello di far sprofondare tutto. Inoltre nei pressi dell’area c’è una colonia di posidonia oceanica, una pianta protetta perché è alla base del sistema di protezione dall’erosione e perché le sue colonie sono vere e proprie “foreste” che ospitano migliaia di organismi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è possibile che si possa realizzare un gasdotto “non sostenibile”? Inoltre la società dice di aver modificato il tracciato del tunnel proprio per non creare problemi alla posidonia.

Di fatto il Tap non ha ancora messo in atto la prescrizione “A3” richiesta dal ministero dell’Ambiente nel 2014. Serve proprio per verificare la fattibilità dell’opera in quell’area. E per quanto riguarda la posidonia, comunque sia in quella zona c'è un delicatissimo equilibrio tra acqua salata e acqua dolce proveniente dalla vicina falda. La presenza del pozzo di spinta potrebbe interferire con le maree e c’è il rischio che la posidonia rimanga esposta eccessivamente all’acqua dolce della falda vicina, che le è nociva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Va bene, ma non c’è il rischio di passare per difensori di istanze locali a danno di interessi nazionali?

E qui casca l’asino: ai fini dell’approvvigionamento energetico noi riteniamo l’opera inutile. Per cominciare, tutto questo gas all’Italia non serve, visto che noi consumiamo solo 65-70 miliardi di metri cubi all’anno a fronte di una possibilità di importazione di 140 miliardi. In più il nostro Paese ha contratti “take or pay” per l’acquisto e il consumo del gas: si tratta di contratti a lungo termine, spesso venticinquennali, secondo cui il prezzo del gas viene stabilito avendo come riferimento quello del petrolio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E quindi?

Nel caso in cui non si riuscisse a consumare tutto il quantitativo pattuito si deve versare una penale. Nel 2014 l’Eni ha dovuto pagare 1,3 miliardi per gas che non ha ritirato e quel denaro è poi ovviamente finito nelle nostre bollette. Insomma, anche se il gas dell’Azerbaijan ci venisse fornito gratuitamente, non potremmo comunque usufruirne perché dobbiamo smaltire il gas che abbiamo già acquistato da altre società con il take or pay. Alla fine questa operazione avvantaggia solo la speculazione: il gas azero può essere acquistato e conservato per poi venderlo quando il prezzo si dovesse alzare, per trarne il maggior profitto possibile.


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