di Ilaria Palumbo

Le fatiscenti stalle di via Oberdan: cosa è rimasto dopo lo sgombero del campo rom
BARI – E’ di tre giorni fa la notizia dello sgombero da parte della Polizia municipale di un campo rom abusivo in via Oberdan, messo su in quelle che in passato erano state le stalle del boss Savinuccio Parisi, che lì ospitava i suoi cavalli. Ieri siamo andati a dare un’occhiata al “sito” prima che venisse chiuso e murato.  (Vedi foto galleria)

Quello che ci siamo trovati davanti ha dell’incredibile: a poche centinaia di metri dal sottopasso Luigi di Savoia che conduce in centro, si trova una struttura senza tetto, fatiscente, a rischio crollo. Qui i rom dormivano, mangiavano, si lavavano. Il tutto mentre le auto passavano indisturbate sull’estramurale e i treni della sud-est fermavano nella stazione che si trova a due passi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questo è un luogo molto antico: è qui che nel 1943 furono ospitati alla men peggio i profughi istriani che scappavano dalle persecuzioni di Tito. Un luogo da sempre adibito a stalla, praticamente rimasto lo stesso nonostante il passare dei decenni. 

Siamo a pochi metri a sud del passaggio a livello della sud-est, di fronte a un autolavaggio. A ridosso dei binari della ferrovia si trova l’ex campo rom. Entriamo e ci ritroviamo in un cortile in totale disfacimento, al cui centro spicca lo scheletro di un’auto bruciata e al cui fianco si trova un cane randagio che ci fissa con aria interrogativa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Su entrambi i lati ci sono i piccoli e bassi box in pietra: le “stanze” abitate dai rom, in forte contrasto con gli alti e colorati palazzi del quartiere Madonnella che spuntano alle spalle della struttura.  I locali diroccati, pervasi da un odore sgradevole, sono tutti privi di tetto e di porta, con i solai a vista e le finestre dotate di inferriate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proviamo a dare un’occhiata all’interno delle stanze. Nella prima si trovano ammassati una serie di mobili distrutti, un comodino smembrato, stracci e vestiti. Mentre quella accanto doveva essere utilizzata come bagno della “casa”: sono presenti infatti uno specchio e un lavandino. Proseguendo notiamo un passeggino per la spesa e un grosso bidone verde dell’Amiu, che però non deve essere servito a molto, visto che i rifiuti sono sparsi un po’ ovunque.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla destra ci sono due locali ancora più colmi. Il primo, dotato di porta in vetro, raccoglie una piramide di oggetti di ogni genere: una sedia in vimini, scatole di cartone, cestini, jeans, buste, tutto concentrato e sorretto da un divano rosso, unica punta di colore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il secondo è invece quello più equipaggiato: coperto da un soffitto costruito con tegole di legno tenute ferme da alcune gomme d’auto, ospita un frigorifero aperto e una credenza ormai vuota. Doveva essere la cucina. Una tenda rossa e una leopardata servivano probabilmente non solo ad “abbellire” ma anche a riparare, per quanto possibile, dal freddo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un luogo che sembra Beirut dopo i bombardamenti. Mentre scriviamo, l’ingresso dell’ex stalla sta per essere murato, per essere nascosta forse per sempre agli occhi degli indifferenti passanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Ilaria Palumbo
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