di Stefania Buono

Michele Salomone: «Frasi fatte e conferenze scontate, difficile raccontare il calcio»
BARI – Noi non facciamo cronaca calcistica: trattiamo questo sport attraverso approfondimenti, storie e riflessioni, ma non seguiamo quotidianamente le vicende che interessano il Bari. Il motivo è semplice, se lo facessimo non potremmo mai essere “inediti”: perché ci sono già tante testate giornalistiche che si occupano dei biancorossi, ma soprattutto perché ci sconteremmo inevitabilmente con la difficoltà di non poter raccontare qualcosa di “diverso”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il problema della cronaca sportiva è infatti sempre lo stesso e comune un po’ in tutta Italia: i giornalisti sono costretti ad aver a che fare con giocatori e allenatori che non parlano, che non fanno altro che recitare a memoria un campionario composto da inutili frasi fatte. Si va dal “più che per il gol sono contento che la squadra abbia vinto” a “è una partita importante ma non decisiva”, da “resto a disposizione del mister, decide lui quando e dove devo giocare” a “sono contento di essere qui perché la tifoseria è calda e passionale”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Del resto è anche difficile (se non impossibile) riuscire a intervistare un giocatore. Le società vietano questo approccio troppo ravvicinato tra tesserati e giornalisti, che potrebbe produrre dichiarazioni “lesive” per la squadra. In più si cerca sempre di lasciare su un piedistallo i calciatori (come delle statue), perché se scendessero il pubblico potrebbe cominciare ad accorgersi che i campioni così tanto osannati in realtà non sono altro che normalissimi ragazzi che inseguono un pallone da calcio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E i giornalisti che tentano di sfondare questo “muro di gomma” di solito vengono malvisti e tenuti a distanza dalle società, anche se spesso proprio per questo motivo risultano essere i più apprezzati e seguiti dai tifosi. E’ il caso ad esempio del 62enne Michele Salomone (nella foto), giornalista e voce storica delle radiocronache del calcio barese, che da decenni svolge la sua professione cercando, tra mille difficoltà, di raccontare in maniera indipendente delle vicende del Bari calcio. Lo abbiamo incontrato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Quali sono attualmente i suoi rapporti con la proprietà biancorossa?
 
In quarant’anni di carriera non ho mai avuto uno splendido rapporto con la società, sia con la vecchia che con la nuova. Ci sono stati dei momenti in cui Vincenzo Matarrese nemmeno mi salutava e se facessimo a Gianluca Paparesta la domanda: “cosa pensi di Michele Salomone?”, lui senza alcun dubbio risponderebbe che non mi ama. Questo perché io ho sempre scritto e detto quello che penso e ai presidenti questa cosa non è mai andata a genio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Lei quindi ritiene che le società preferiscano avere a che fare con giornalisti più “addomesticati”?

Sì, ma non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ci sono casi e casi e del resto ognuno è libero di esercitare la professione come meglio crede. Io sono convinto che il bravo redattore è colui che mette nero su bianco le cose scomode, rifiutando perciò le classiche domande compiacenti. Anche se purtroppo nel nostro mestiere se scrivi in modo accomodante di un’istituzione o un individuo, ricevi complimenti, sorrisi e pacche sulle spalle, a differenza di quando ne parli negativamente e con onestà.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Del resto però se è vero che si possono fare domande scomode, non è altrettanto facile riuscire a ottenere risposte interessanti…

Esatto, le conferenze stampa infatti sono scontate: si rivelano vere e proprie farse, col giocatore o lo staff tecnico sempre affiancato e controllato dall’ufficio stampa biancorosso. Anche dopo una partita le parole pronunciate non cambiano mai, è come se ci fossero delle frasi fatte e standard per ogni occasione. La verità è che i tesserati in quanto dipendenti della società non potranno mai esporre fino in fondo la loro opinione. Ed è chiaro che questo è un limite anche per noi giornalisti: non a caso il giorno dopo una partita se si acquistano diversi giornali si troveranno scritte le stesse identiche cose.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci sono eccezioni?

No, i giocatori diventano “misteriosamente” vogliosi di parlare solo nel momento in cui andando via da un club non ne percepiscono più lo stipendio. Vi racconto un aneddoto: una volta venni contattato dal procuratore di un centrocampista che aveva appena lasciato i galletti per vestire un’altra maglia: mi disse che il calciatore voleva essere intervistato con l’obiettivo di sparare a zero sulla squadra biancorossa. Ma io non volli accontentarlo, per una questione di correttezza: sarebbe stato troppo comodo parlare male del Bari solo allora:  avrebbe dovuto farlo prima.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E come si può superare o aggirare questo muro eretto dalle società?

Utilizzando stratagemmi e trucchi del mestiere: si ricorre quindi a fonti vicine alla squadra per carpire le novità, l’umore che si respira, il pensiero dei dirigenti. Anche se è comunque difficile trovare qualcuno che ti racconti ad esempio dei piccoli o grandi problemi che sta affrontando lo spogliatoio: rischierebbe di cacciarsi nei guai con la società.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al contrario le è mai successo di dover ricorrere lei al “silenzio” a causa di una richiesta del suo editore?

In trent'anni di carriera è successo solo una volta nell’emittente per cui ancora oggi lavoro, Telenorba, quando non fui d’accordo con una scelta editoriale. Durante un colloquio mi fu detto che bisognava avere una linea “più morbida” nei confronti della società. Io non fui d’accordo con questa decisione e allora d’accordo con la redazione decisi di non parlare proprio, limitandomi alle radiocronache, dove ero “costretto” a raccontare oggettivamente la partita ai tifosi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per concludere: un consiglio a chi volesse intraprendere la carriera di cronista sportivo.

Le parole magiche per chi vuole fare questo mestiere sono tre: credibilità, competenza e passione. Ma sarà sempre la scelta di non voler “accontentare” nessuno a far sì che un giornalista possa essere riconosciuto come un ottimo professionista agli occhi di tutti, in particolare dei tifosi, coloro cioè che giudicano e scelgono quali sono le fonti più credibili a cui affidarsi.


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