di Nicola Paparella

I
BARI – Hanno un’età compresa tra i 20 e i 25 anni, sono in piedi da due anni e  all’attivo contano la pubblicazione di un Ep (uscito il 15 giugno 2014). Si chiamano Think About It (nella foto) e sono sei ragazzi baresi che hanno unito alle sonorità taglienti e al writing tipici dell’hip hop, il ritmo e l’improvvisazione del jazz, l'immediatezza del pop, la profondità del soul. Stiamo parlando di Gabriele Poliseno (voce rap), Marco Menchise (chitarra ritmica), Stefano De Vivo (chitarra solista), Fabiana Cogo (voce), Michele Antonacci (basso) e Vincenzo Guerra (batteria). Abbiamo parlato con Gabriele e Marco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Think about it, che dall’inglese verrebbe tradotto come “pensaci su”. Perché?

La scelta del nome è stata del tutto casuale: avevamo un gruppo chiuso su Facebook che utilizzavamo per comunicare tra noi della band, il cui nome era per l’appunto “Dobbiamo pensarci”, che stava per “ragazzi, pensate a come possiamo chiamarci”. Non ci è venuto nulla in mente, così abbiamo deciso che sarebbe stato proprio questo il nome che ci avrebbe rappresentato. Nessuna dietrologia filosofica quindi, però se proprio volessimo ricamarci sopra potremmo dire che il nostro nome rispecchia la voglia di sperimentare e aprirsi a nuovi generi, cosa fondamentalmente vera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siete autodidatti?

(Parla solo Marco) Io ho preso lezioni private di chitarra mentre batterista, bassista e l’altro chitarrista studiano in conservatorio. Anche Fabiana ha preso lezioni di canto, mentre Gabriele è fondamentalmente autodidatta ed è anche capace di suonare la batteria, cosa che lo ha aiutato parecchio nel flow (“flusso” letteralmente, termine che indica una sequenza di rime rap) e nella metrica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

 Voi mischiate l’hip hop con jazz, soul e pop…

(Parla solo Gabriele) Sì, il batterista e il tastierista (che ora non abbiamo più in formazione) hanno portato quel groove tipico dell’hip hop e del funk, ma anche io ho giocato un ruolo fondamentale in tal senso. Fabiana, l’altra cantante, si occupa invece della voce “pop”. La componente jazz è data fondamentalmente dal chitarrista solista. In alcuni pezzi io e lei cantiamo allo stesso tempo, in altri io canto nel chorus e lei nel refrain. Però il nostro genere è influenzato anche dal soul: ci piacciono artisti come Erykah Badu. Gli altri nostri punti di riferimento sono gruppi hip hop come i The Roots, il rapper statunitense Kendrick Lamar, il pianista Robert Glasper e un po’ tutto il funk anni 70 alla George Clinton. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di amalgamare più generi insieme fino ad ottenere un suono unico e inconfondibile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutti artisti stranieri, ma cantate in italiano. I vostri testi di che cosa parlano?

Pur non disprezzando la musica estera sì, cantiamo in italiano. I testi parlano principalmente di vita vissuta, cerchiamo di raccontare la quotidianità in modo, si spera, non banale. In “Sottocontrollo” per esempio sottolineiamo una visione ottimistica della vita: malgrado possano sopraggiungere tempi duri bisogna sforzarsi di tenere tutto sotto controllo. “Bella da morire” è una canzone che tratta un tema piuttosto delicato, quello dell’anoressia. La voce hip hop è quella narrante e spiega la storia, mentre nel refrain Fabiana canta “E non so che farei per farla stare meglio/ E non so che farei, più volte resto sveglia la notte/ E non mi fa dormire, vuole morire per essere bella ed è già bella da morire. Una tematica delicata, piuttosto scomoda, ma che pare essere stata recepita bene dal pubblico. E’ questo il genere di canzoni che ci piace fare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

 
Proponete anche delle cover?

Abbiamo diverse cover che durante i live ci piace arrangiare in chiave hip hop/jazz. Quelle che eseguiamo più spesso sono “Sunday Morning” dei Maroon 5, “Valerie” nella versione di Mark Ronson e Amy Winehouse, “Mercy” di Duffy, “American Boy” di Estelle e Kanye West e “Bitch, Don’t Kill My Vibe” di Kendrick Lamar.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Avete stampato un Ep: “Sulle grate”.

Sì, sono parole contenute in un nostro pezzo, “T.a.i.” (acronimo di Think about it) e simboleggiano l’inizio di un percorso. Proprio come le grate, situate a terra, per strada. E’ esattamente da lì che partiamo. La nostra prerogativa comunque è quella di fare quanti più concerti possibile. Suoniamo principalmente nei locali baresi e abbiamo anche vinto il Locus Talent di Locorotondo grazie a due nostri brani: “Sottocontrollo”(contenuto nell’EP) e “Giocattoli nuovi”, che sarà contenuto nel prossimo album. Vittoria che ci ha valso un ingresso al Mei (Meeting etichetta indipendente) di Faenza, dove abbiamo suonato per un’ora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il pubblico barese come vi ha accolto?

Considerata la commistione di generi e le sonorità ibride, potrebbe andare peggio: sentiamo “abbastanza entusiasmo” quando suoniamo. Certo, a volte dopo esserci presentati ai proprietari dei locali come autori di brani inediti ci sentiamo rispondere: “Ragazzi la vostra musica mi piace, ma devo chiedervi di suonare solo cover”. Una vera e propria spada di Damocle per i musicisti baresi. Ma noi non ci fermiamo e speriamo di far conoscere sempre di più la nostra musica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Il video del brano "T.a.i."


 


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  • Pasquale - dare spazio alle nuove sonorità è la chiave per uscire costantemente dal torpore che invade il comune senso di ascolto della musica


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